La terra ha un cancro. Questo cancro si chiama surriscaldamento climatico. Ma quali sono le relazioni tra la pesca e i cambiamenti climatici?
Tutti gli scienziati sono consapevoli dello sconvolgimento climatico che sta attraversando il nostro pianeta. La temperatura media dell’atmosfera terrestre si è innalzata di 2 °C, dato che può sembrare trascurabile, ma che ha già palesato conseguenze sugli ecosistemi. L’ ambiente marino ha già risentito di questi effetti: si è innalzato il livello del mare, si sono modificate le correnti marine, si è avuto un aumento dell’acidità degli oceani e molte specie hanno cominciato a popolare habitat dove fino a poco tempo fa non avrebbero potuto vivere. Il riscaldamento ormai è una malattia da curare, non più da prevenire. La temperatura media si è innalzata di circa 1.5 – 2.5°C, tale da creare catastrofi per la biodiversità delle specie. La manifestazione più visibile è appunto lo spostamento delle specie: pesci, molluschi e crostacei risalgono sempre più verso nord, alla ricerca di acque più fredde. Molti organismi hanno bisogno di una temperatura specifica.
L’’habitat naturale, divenuto troppo caldo, non permette più la sopravvivenza delle specie. La triglia di scoglio (Mullus surmuletus), pesce tipicamente mediterraneo, è diventata dall’inizio di questo secolo, specie commerciale del Mare del Nord. Da 10 tonnellate pescate nel 1985, le catture sono aumentate a 700 tonnellate nel 2005. Anche per la spigola (Dicentrarchus labrax), le catture sono aumentate in 20 anni da 500 a 900 tonnellate. Lo stesso succede a sud con specie che si spostano e arrivano nel nostro mare: la triglia del Mar Rosso (Upeneus moluccensis), la vongola (Tapes filippinarum) o il velenosissimo pesce palla rinvenuto ormai un po in tutte le coste italiane. Ad esempio, un curioso pesce dalla forma allungata e con il muso che ricorda una piccola tromba, spesso avvistato nei mari della Sicilia e noto con il nome di Fistularia, specie del Mar Rosso che abita abitualmente le barriere madreporiche, è stato trovato nelle reti di pescatori di Paranza di Sciacca (AG).
Pesca professionale e cambiamenti climatici
Sia la pesca professionale sia, anche se in minor misura, la pesca sportiva, possono contribuire ad attenuare i cambiamenti climatici. Limitando ad esempio la pressione sulle specie fragili (organismi giovanili, avannotti, specie protette…) e attraverso la gestione della pesca basate sull’ecosistema, secondo il principio di Rendimento Massimo Sostenibile (approccio che determina una quantità massima di individui che si possono prelevare da uno stock nel corso degli anni, senza mettere in pericolo ala sua riproduzione) possiamo aiutare gli ecosistemi ad adattarsi all’ evoluzione del clima.
La pesca è un’attività umana che da sempre ha avuto un impatto significativo sull’ambiente marino. Tuttavia, negli ultimi decenni, i cambiamenti climatici stanno influenzando sempre più la pesca, con conseguenze sia positive che negative.
Da un lato, il riscaldamento globale sta portando ad un aumento della temperatura dell’acqua, che può favorire la presenza di alcune specie ittiche, come ad esempio il tonno. Inoltre, l’acidificazione degli oceani, causata dall’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera, potrebbe stimolare la crescita delle alghe e quindi incrementare la disponibilità di cibo per alcune specie ittiche.
Dall’altro lato, però, i cambiamenti climatici stanno provocando importanti alterazioni negli ecosistemi marini, con conseguenze potenzialmente disastrose per la pesca. Ad esempio, l’innalzamento della temperatura dell’acqua può provocare la migrazione di alcune specie ittiche verso zone più fredde, lasciando vuoti di pesca nelle zone tradizionali.
Inoltre, il cambiamento climatico può provocare l’incremento della frequenza e dell’intensità di eventi meteorologici estremi, come tempeste e uragani, che possono danneggiare le infrastrutture e le attrezzature di pesca e ridurre la capacità dei pescatori di svolgere la propria attività.
Infine, l’acidificazione degli oceani può avere conseguenze gravi sulla vita marina, compromettendo la formazione del guscio dei molluschi e causando il dissolvimento dei coralli, con conseguenze disastrose per l’ecosistema marino nel suo complesso.
Per far fronte a questi cambiamenti, la pesca deve adattarsi e diventare sempre più sostenibile ed eco-compatibile. Ciò significa, ad esempio, adottare tecniche di pesca selettive e ridurre gli scarti, in modo da preservare le specie ittiche più vulnerabili e proteggere la biodiversità marina.
Inoltre, è necessario promuovere una gestione razionale delle risorse ittiche, evitando la sovrapesca e adottando politiche di gestione basate sulla ricerca scientifica e sulla cooperazione tra pescatori, istituzioni pubbliche e associazioni ambientaliste.
Infine, è importante che la comunità scientifica e il settore della pesca collaborino sempre di più per studiare gli effetti dei cambiamenti climatici sulla pesca e sviluppare strategie e tecnologie in grado di adattarsi a queste nuove sfide.
I cambiamenti climatici rappresentano una minaccia reale per la pesca e l’ecosistema marino nel suo complesso, ma allo stesso tempo possono offrire nuove opportunità e sfide per il settore. La sfida per i pescatori e le istituzioni è quella di adottare politiche e tecnologie in grado di preservare la biodiversità marina e garantire la sostenibilità della pesca per le generazioni future.