Un’inchiesta sullo stato reale delle risorse marine nel “mare tra le terre” e nel Mar Nero, tra sovrasfruttamento, cambiamento climatico e nuove strategie di rinascita.
Contenuti
- Un mare chiuso in un equilibrio fragile
- Un mare sotto pressione
- Profilo della pesca – panoramica generale
- Capacità di pesca
- Una flotta frammentata
- Pelagici: l’instabilità delle risorse di superficie
- Demersali: tra sforzi di recupero e nuovi rischi
- Crostacei
- Una governance in evoluzione
- 2025: un punto di svolta possibile
Un mare chiuso in un equilibrio fragile
Il Mar Mediterraneo e il Mar Nero, riconosciuti dalla FAO come Area di pesca principale n. 37, coprono circa 3 milioni di km² – appena lo 0,8% della superficie marina globale – ma concentrano una delle biodiversità più ricche e studiate del pianeta.
Eppure, proprio qui, dove la storia della pesca è millenaria, il mare mostra oggi segni evidenti di stress ecologico e produttivo.
La loro natura semi-chiusa, l’intensa urbanizzazione costiera, la pressione della pesca e l’impatto del riscaldamento climatico rendono il Mediterraneo e il Mar Nero due “hotspot” di vulnerabilità ambientale.
Le temperature superficiali crescono più rapidamente della media oceanica, mentre il cambiamento delle correnti e la salinità favoriscono specie aliene invasive e alterazioni profonde degli ecosistemi.
Un mare sotto pressione
Secondo il più recente rapporto FAO (The State of Mediterranean and Black Sea Fisheries – SoMFi 2023), oltre la metà degli stock ittici valutati resta sovrasfruttata.
Nel 2021, il 58% delle specie commerciali risultava pescato oltre i limiti di sostenibilità biologica.
Un dato in calo rispetto al 73% del 2014, ma ancora lontano dagli obiettivi di equilibrio fissati dall’Agenda 2030.

Il Mar Mediterraneo e il Mar Nero continuano a essere tra le regioni più complesse del mondo in termini di gestione delle risorse ittiche.
Secondo i dati del rapporto SoMFi 2023, il livello di sfruttamento delle principali specie commerciali mostra segnali di miglioramento, ma la maggior parte degli stock rimane sovrasfruttata rispetto ai livelli biologicamente sostenibili.
Il declino della produttività marina è aggravato da inquinamento chimico e plastico, perdita di habitat costieri, e da una crescente competizione per lo spazio marittimo (energie offshore, trasporti, turismo).
Il risultato: la pesca mediterranea, pur generando oltre 7,8 miliardi di dollari di ricavi e impiegando più di 450 000 persone, opera in un contesto di forte incertezza ecologica.
Profilo della pesca – panoramica generale
Il Mediterraneo e il Mar Nero sostengono attività di pesca sin dall’antichità.
Oggi, il settore comprende flotte industriali, semi-industriali e artigianali, che utilizzano una vasta gamma di attrezzi e tecniche.
Una caratteristica distintiva dell’Area 37 è l’estrema diversità delle specie catturate — pesci, crostacei e molluschi — spesso distribuite in popolazioni complesse e condivise tra flotte di diversi Paesi rivieraschi.
Questa varietà comporta sfide significative per la gestione sostenibile e la raccolta dei dati. Una gestione efficace richiede un approccio multispecie e adattivo, supportato da cooperazione scientifica regionale.

Alcune specie demersali — come il nasello europeo (Merluccius merluccius), il gambero rosa (Parapenaeus longirostris) e la triglia di fango (Mullus barbatus) — mostrano una graduale riduzione della pressione di pesca, grazie all’applicazione di piani di gestione pluriennali adottati dalla GFCM
Le catture totali nel Mediterraneo e nel Mar Nero mostrano andamenti variabili dal 1950:
- tra il 1971 e il 1988 la produzione è cresciuta da 1 milione a quasi 2 milioni di tonnellate;
- negli anni ’80 si è mantenuta stabile, per poi diminuire tra il 1989 e il 1991 a causa del crollo della pesca pelagica nel Mar Nero;
- nel 2021, la produzione complessiva è stata di oltre 1 milione di tonnellate, generando 7,8 miliardi di dollari di ricavi e occupando più di 457.000 persone lungo l’intera filiera.
Negli ultimi anni, i ricavi della pesca hanno registrato un leggero aumento (+1,3% dal 2020), mentre l’occupazione è calata (-5,7%), con una flotta rimasta sostanzialmente stabile.

La suddivisione dell’Area FAO 37 comprende cinque sotto-regioni (Mediterraneo occidentale, centrale, orientale, Mar Adriatico e Mar Nero) e 30 sottoaree geografiche (GSA).
Questa organizzazione consente una gestione più precisa delle risorse ittiche, in linea con i piani di gestione pluriennali della GFCM.
Nel Mediterraneo le catture sono cresciute fino al 1994 (circa 1 milione di tonnellate), per poi calare a 750.000 tonnellate nel 2015.
Tra il 2016 e il 2018 si è osservata una ripresa (fino a 800.000 tonnellate), seguita da un nuovo calo a 670.000 tonnellate nel 2021.
Nel Mar Nero, invece, le catture sono molto variabili di anno in anno; nel 2021 sono state circa 400.000 tonnellate.
Il calo delle catture nel 2020–2021 è stato aggravato dalle restrizioni dovute al COVID-19, che hanno ridotto le attività di pesca, il turismo e la domanda di prodotti ittici.
Capacità di pesca
Secondo la GFCM (FAO, 2023), la capacità operativa complessiva della flotta peschereccia del Mediterraneo e del Mar Nero è stimata in circa 867.400 tonnellate di stazza lorda e 5,4 milioni di kilowatt (kW) di potenza installata.
Le imbarcazioni artigianali o di piccola scala rappresentano la maggioranza della flotta — circa 82% — con 68.100 unità.
Seguono:
- pescherecci a strascico e a divergenti (circa 6.700 unità, 8%);
- lampara e pescherecci pelagici a strascico (circa 4.300 unità, 5%);
- e il gruppo “altre tipologie di flotta” (circa 4.000 unità, 5%).
La prevalenza delle unità di piccola scala è ancora più marcata nel Mar Nero (9.200 imbarcazioni, pari all’85% della flotta) rispetto all’intera area GFCM.
Nel Mediterraneo, le imbarcazioni di piccola scala sono dominanti in tutte e quattro le sotto-regioni, in particolare nel Mediterraneo centrale e orientale, dove costituiscono circa l’85% della flotta operativa (19.600 e 18.800 unità rispettivamente).
I pescherecci a strascico e a divergenti variano dal 5% nel Mediterraneo centrale (1.270 unità) al 13% nell’Adriatico (1.338 unità).
Le lampara e i pescherecci pelagici a strascico sono la categoria meno rappresentata (escludendo il gruppo “altre flotte”), con il picco nel Mediterraneo occidentale (12%, circa 1.960 imbarcazioni) e le percentuali più basse nel Mediterraneo centrale (3%, 680 unità) e nell’Adriatico (3%, 290 unità).
Dal punto di vista delle catture:
- le flotte pelagiche (lampara e reti pelagiche) producono la parte maggiore del pescato totale (58,9% nell’area GFCM), con un’incidenza del 47,7% nel Mediterraneo (dal 37,2% nel Mediterraneo centrale al 58,8% nell’Adriatico) e dell’80,1% nel Mar Nero;
- gli strascici rappresentano il 18,1% del totale, più rilevante nel Mediterraneo (23,5%, con un picco del 26,1% nel settore occidentale) rispetto al Mar Nero (7,9%);
- le imbarcazioni di piccola scala contribuiscono al 19,9% delle catture mediterranee (fino al 33,9% nel Mediterraneo centrale) e solo al 4,9% nel Mar Nero;
- infine, le “altre flotte” costituiscono l’8,3% del pescato complessivo, con un peso leggermente superiore nel Mediterraneo (8,9%, massimo nell’Adriatico con 14,1%) rispetto al Mar Nero (7,1%)

Il Mar Nero, sebbene presenti livelli di sfruttamento inferiori rispetto al Mediterraneo, rimane vulnerabile alle fluttuazioni ecologiche (ad esempio, variazioni di salinità e ossigeno), all’ingresso di specie aliene e alla pesca non regolamentata lungo le sue coste.
Una flotta frammentata
La flotta dell’Area 37 conta circa 68 100 imbarcazioni di piccola scala, che rappresentano l’82% del totale, ma solo un quinto del pescato.
A queste si affiancano 6 700 pescherecci a strascico e 4 300 pelagici, responsabili delle catture più consistenti.
Nel Mar Nero, la piccola pesca domina (85% delle unità), mentre nel Mediterraneo gli strascici restano i principali vettori di pressione, soprattutto sulle specie demersali.
L’Adriatico e il Canale di Sicilia si confermano le aree più produttive, ma anche più delicate in termini di equilibrio biologico.
Pelagici: l’instabilità delle risorse di superficie
Le alici europee e le sardine restano le specie simbolo del Mediterraneo.
Nel Mar Nero, le alici hanno generato oltre 250 000 tonnellate di pescato medio tra il 2020 e il 2021, pari al 65% delle catture totali.
In Adriatico, le due specie coprono insieme quasi il 70% delle catture, e sono ora regolate da un piano di gestione pluriennale GFCM, con limiti di cattura specifici per specie.
Le sardine, tuttavia, appaiono più vulnerabili: sei dei dodici stock analizzati risultano sovrasfruttati.
Anche la sardinella rotonda, diffusa nell’Egeo e nel Levante, mostra segnali di eccesso di pesca, mentre lo spratto europeo del Mar Nero è l’unica specie classificata come pescata in modo sostenibile.

Demersali: tra sforzi di recupero e nuovi rischi
Il nasello europeo resta la specie più rappresentativa delle acque profonde del Mediterraneo.
Sebbene la pressione di pesca sia in diminuzione dal 2013, tutti e dieci gli stock monitorati risultano ancora in stato di sovrasfruttamento.
Segnali di ripresa provengono dallo Stretto di Sicilia e dall’Adriatico, dove piani di gestione pluriennali e limiti di sforzo hanno iniziato a produrre risultati concreti.
La triglia di fango mostra invece un quadro più incoraggiante: il 31% degli stock è oggi classificato come pescato in modo sostenibile, e nell’Adriatico la biomassa è tornata sopra la soglia di riferimento biologico (BMSY).
Tra i pesci piatti, la sogliola comune dell’Adriatico è considerata ricostruita e gestita in modo sostenibile, mentre il rombo chiodato del Mar Nero — pur ancora sovrasfruttato — ha triplicato la propria biomassa dal 2017, grazie alla riduzione del 70% dello sforzo di pesca.
Crostacei
I gamberi rossi di profondità, sia il rosso (Aristeus antennatus) sia il viola (Aristaeomorpha foliacea), rappresentano oggi le specie più redditizie ma anche più vulnerabili del Mediterraneo.
Tutti gli stock valutati di gambero rosso e cinque su sei di gambero viola risultano sovrasfruttati, nonostante i piani di gestione in corso nello Stretto di Sicilia e nel Mar Ionio.
Il gambero rosa (Parapenaeus longirostris), invece, è la specie di crostaceo più pescata del Mediterraneo, con catture in crescita costante da 7 000 tonnellate nel 1970 a 22 700 tonnellate nel 2021.
Sette dei nove stock restano tuttavia sovrasfruttati.
La forte influenza dei regimi ambientali e climatici sulle popolazioni rende difficile stabilire punti di riferimento biologici stabili e aumenta la complessità gestionale.
Infine, lo scampo (Nephrops norvegicus), principale crostaceo dell’Adriatico, mostra valori medi di sfruttamento prossimi alla sostenibilità, ma le valutazioni non sono ancora consolidate.
Una governance in evoluzione
Negli ultimi anni, la Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo (GFCM) ha adottato un approccio più sistematico e integrato per la gestione sostenibile delle risorse dell’Area 37.
Le principali misure di gestione comprendono:
- Piani di gestione pluriennali (MAPs) per le principali specie demersali e pelagiche, con limiti di sforzo di pesca e misure di chiusura spaziale e temporale;
- Zone di restrizione alla pesca (Fisheries Restricted Areas – FRAs) per proteggere habitat sensibili e nursery;
- Rafforzamento del monitoraggio e della raccolta dati, inclusa la tracciabilità digitale e il controllo satellitare delle flotte;
- Programmi di riduzione della capacità di pesca, soprattutto per le flotte più impattanti;
- Promozione della pesca artigianale sostenibile, in linea con la Small-Scale Fisheries Guidelines (SSF-Guidelines) della FAO.
L’attenzione crescente verso l’acquacoltura sostenibile rappresenta inoltre una delle strategie più rilevanti per alleviare la pressione sugli stock naturali, migliorando nel contempo la sicurezza alimentare e le opportunità economiche costiere.
Parallelamente, la cooperazione regionale è diventata un pilastro strategico: diversi Paesi membri hanno intensificato le attività congiunte di ricerca, ispezione e formazione, mentre la GFCM continua a promuovere un approccio ecosistemico alla pesca (EAF) — in cui la tutela degli habitat, la riduzione degli scarti e la mitigazione dell’impatto sul fondo marino sono considerate parti integranti della gestione.
2025: un punto di svolta possibile
Il Mediterraneo resta un mare straordinariamente vivo, ma sempre più fragile.
Le sue risorse biologiche — come le società che lo abitano — chiedono equilibrio, tempo e conoscenza.
I progressi registrati negli ultimi anni mostrano che la sostenibilità è possibile, ma richiede continuità, controllo e cultura del mare.
Perché questo mare, culla di civiltà e di biodiversità, non ha bisogno solo di regole:
ha bisogno di cura, scienza e rispetto.
Eccole qui le fonti da citare per il testo e i dati contenuti nell’articolo:
- Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO) – The State of Mediterranean and Black Sea Fisheries – Special edition.
- General Fisheries Commission for the Mediterranean (GFCM) – Raccomandazioni e piani di gestione per l’Area FAO 37.
- Dati specifici su catture, produttività, flotte e stock prioritari derivanti direttamente dal rapporto FAO/GFCM (2021–2025).






