L’acquacoltura (o acquicoltura), è un termine in uso già dall’inizio del ventesimo secolo. Questo termine indica tutte le attività di produzione sia animale che vegetale in ambiente acquatico. Per l’attività di allevamento di organismi marini viene indicato il termine di maricoltura.
L’allevamento di prodotti del mare viene praticato da migliaia di anni. In un bassorilievo trovato nella una tomba di Aktihetep in Egitto, risalente a 2500 anni prima di Cristo, è raffigurato un uomo che raccoglie pesce (probabilmente tilapie) da un bacino lacustre. Il primo scritto sull’allevamento ittico è del 500 Avanti Cristo, e’ il cinese Fan Li che pubblica un trattato su questa attività. Furono in seguito i Fenici, gli Etruschi ed i Romani ad interessarsi a questa attività.
Nel I secolo avanti Cristo, un ingegnere ed imprenditore di nome Sergio Orata, chiamato cosi proprio per la sua passione per questi pesci, avviò un allevamento di ostriche in Campania a Baia.
In particolare i Romani allevavano le murene, le anguille, le salpe in vasche scavate nella roccia (presenti ancora oggi sulla costa laziale, pontina e dell’isola del Giglio). Questo tipo di acquacoltura scomparve con la fine dell’Impero Romano per poi rivedere la luce nel XII secolo. L’acquacoltura comincio’ a svilupparsi in Europa ed in particolare in Italia. Nacquero’ cosi i primi allevamenti lagunari in alto Adriatico ma anche in tutto il Mediterraneo occidentale.
Nei primi anni 80 l’Italia era probabilmente il paese Leader nel mercato del pesce allevato. Cominciano cosi a nascere i primi impianti di acquacoltura marina intensiva
L’acquacoltura fa parte della cultura alimentare italiana e della tradizione e, al giorno d’oggi, i moderni impianti di piscicoltura devono rispettare criteri rigorosi per offrire prodotti sicuri e testati in grado di soddisfare la crescente domanda di pesce di alta qualità, nel pieno rispetto dell’ambiente e del benessere animale.
Boom dell’acquacoltura
Le specie ittiche esposte ad un eccessivo sforzo di pesca, si stanno riducendo sempre di più, ma arrivano sulle nostre tavole i “supplenti“, ovvero le specie ittiche allevate. Boom dell’acquacoltura negli ultimi anni.
Medici e nutrizionisti consigliano di mangiare pesce e ridurre la quantità di carne, ma se una specie ittica su tre è soggetta a ‘sovrasfruttamento’ , sarà sempre più frequente ritrovare sulle nostre tavole quelli che NATURE definisce ‘polli d’acqua‘, ovvero specie facilmente allevabili, che si accrescono con mangimi di scarsa qualità, ma che mantengono le caratteristiche principali. Per quanto riguarda l’allevamento delle specie ittiche la Cina risulta al primo posto per la quantità annua prodotta in allevamento.
I cinesi sono riusciti a convertire l’alimentazione di alcuni pesci carnivori come il salmone, rendendoli vegetariani e introducendo nella loro dieta un’alta percentuale di mangimi di origine vegetale, molti a base di soia.
Studi effettuati dall’ INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione), hanno evidenziato che tali mangimi non riducono assolutamente i livelli di omega 3 nelle carni dei pesci allevati. Soprattutto nei pesci di mare come l’orata o il sarago, il livello di omega 3 rimane invariato rispetto a quello di pesci pescati in mare aperto. Cambiano invece i livelli di omega 6, in particolare quelli dell’acido linoleico che passa dal 6.7% dei pesci catturati in mare al 14.22% dei pesci cresciuti in allevamento. Cala il rapporto tra omega 3 e omega 6, da 3.4 a 1.6 – 0.8.
Secondo la FAO nel 2015 la popolazione mondiale raggiungerà quota 9 miliardi e, per riuscire a nutrire tutta la popolazione occorrerà aumentare l’acquacoltura e la produzione ittica di circa 25 milioni di tonnellate annue. E di pari passo seguire quest’incremento della produzione con delle regolamentazioni idonee, non prendendo come esempio gli Stati Uniti, dove la Food and Drug ha pronto un decreto per la produzione di una specie di salmone geneticamente modificato per produrre dosi maggiori di ormone della crescita, riducendo di circa un terzo il tempo necessario a raggiungere la taglia adatta per il commercio.
Più acquacoltura e meno pesca intensiva
Aumentando la produzione di allevamento ittico, nei prossimi anni dovrebbe diminuire l’intensità della pesca nei nostri mari, dando la possibilità alle specie a rischio di rafforzare gli stock riportando il numero degli esemplari a livelli accettabili.
Dal punto di vista prettamente culinario, diversi cuochi del panorama mondiale hanno detto la loro sul pesce d’allevamento, notando che le specie selvatiche hanno un odore di mare maggiore e le carni dei pesci di allevamento, dopo la cottura, risultano più grasse.
Sono d’accordo con questo articolo non mi sembra giusto fare con il mare, la stessa cosa degli allevamenti intensivi di polli o mucche. Tutto ciò che è intensivo mi fà pensare a qualcosa di forzato, è vero che siamo fuori natura ma dobbiamo rientrarci. Noi possiamo distruggere o cominciare a recuperare Natura. Non siamo noi che conduciamo il gioco