Sopravvivere negli abissi: le straordinarie adattamenti dei pesci a 7.000 metri di profondità

Sopravvivere negli abissi: le straordinarie adattamenti dei pesci a 7.000 metri di profondità

Gli abissi marini, in particolare le zone adali (quelle che si trovano oltre i 6.000 metri di profondità), rappresentano alcuni degli ambienti più estremi e inesplorati del nostro pianeta. Caratterizzate da una pressione colossale, temperature gelide e un’oscurità totale, queste profondità sembrano inospitali per qualsiasi forma di vita. Eppure, proprio lì, esistono organismi straordinari, capaci di adattarsi e prosperare in condizioni che noi considereremmo impossibili.

Pesci teleostei: i sopravvissuti degli abissi

I pesci teleostei costituiscono uno dei gruppi di vertebrati più diversificati al mondo, presenti praticamente in ogni ambiente acquatico, dagli stagni di montagna fino alle profondità oceaniche più remote. I pesci degli abissi, in particolare, hanno sviluppato una serie di adattamenti fisiologici, morfologici e comportamentali che consentono loro di sopravvivere in queste condizioni estreme.

Questi adattamenti includono modifiche ai sistemi sensoriali, ai ritmi circadiani e persino alla struttura scheletrica. Ma il quadro completo di come questi animali affrontino le profondità estreme resta ancora in parte misterioso, soprattutto per le specie che abitano oltre i 3.000 metri di profondità.

Le ipotesi sull’origine della fauna degli abissi

Già nel 2017 lo studioso Priede aveva proposto tre teorie sull’origine della fauna ittica delle profondità marine:

  1. Ipotesi azoica pre-Cretacica: secondo cui il fondale oceanico sarebbe rimasto privo di vita fino al periodo Cretacico.
  2. Ipotesi delle colonizzazioni successive ed estinzioni: i pesci avrebbero colonizzato il fondale più volte nel corso della storia, sopravvivendo e ricomparendo dopo eventi di estinzione di massa.
  3. Ipotesi della persistenza attraverso le estinzioni: alcuni gruppi avrebbero utilizzato le profondità come rifugio durante i grandi cataclismi terrestri, mantenendo linee evolutive continue.

Ad oggi, nessuna di queste teorie è stata confermata in modo definitivo, anche perché le prove genetiche e fossili sono spesso frammentarie, soprattutto per quanto riguarda i teleostei.

Adattamenti sorprendenti e a volte contraddittori

L’adattamento dei pesci degli abissi non segue sempre schemi prevedibili. Ad esempio, mentre alcune specie hanno sviluppato una visione notturna potenziata, altre hanno ridotto o perso del tutto i geni responsabili della vista e dei ritmi circadiani. Anche la capacità di sopportare le altissime pressioni idrostatiche varia da specie a specie.

Una sostanza interessante in questo contesto è il TMAO (ossido di trimetilammina), presente in molti pesci marini e considerato essenziale per la sopravvivenza nelle grandi profondità. Tuttavia, recenti studi su specie come il snailfish della Fossa di Yap hanno dimostrato che i livelli di TMAO possono essere molto più bassi rispetto a quanto ci si aspetterebbe, suggerendo che altri fattori giocano un ruolo importante nell’adattamento a questi ambienti estremi.

Lo studio : un passo avanti decisivo

Un recente studio, frutto di spedizioni condotte con sommergibili e robot sottomarini nelle Fosse delle Marianne e nell’Oceano Indiano, ha raccolto e analizzato 11 specie di pesci abissali tra 1.200 e 7.700 metri di profondità.

Grazie all’impiego di tecnologie genomiche avanzate, i ricercatori sono riusciti a ottenere il genoma completo di molte di queste specie, comprese quelle che vivono oltre i 6.000 metri. I dati hanno permesso di ricostruire le loro relazioni evolutive e di individuare adattamenti genetici comuni e specifici per ciascuna linea evolutiva.

Inoltre, lo studio ha rivelato dati allarmanti sull’inquinamento delle profondità oceaniche. Sono stati infatti rilevati livelli elevatissimi di PCB (policlorobifenili) e PBDE (eteri difenilici polibromurati) nei tessuti di pesci e crostacei, confermando che l’impatto delle attività umane raggiunge anche i punti più remoti della Terra.

Questo lavoro rappresenta un punto di svolta per la biologia marina e l’ecologia evolutiva. Non solo amplia le nostre conoscenze sulle incredibili strategie di sopravvivenza dei pesci abissali, ma evidenzia anche quanto le attività umane stiano influenzando gli ecosistemi più remoti e apparentemente intatti del pianeta.

Comprendere come la vita si sia adattata agli abissi potrebbe rivelarsi fondamentale non solo per la conservazione di queste specie uniche, ma anche per lo studio delle origini e della resilienza della vita sulla Terra — e, chissà, forse anche altrove nell’universo.

Zhang, H., Xu, T., Wang, Y., Li, Y., Sun, Y., Zhang, J., … & Zhang, Z. (2025). Genomic and chemical adaptations in deep-sea teleost fishes revealed by a multi-omics study. Cell, 186(8), 1767-1785. https://doi.org/10.1016/j.cell.2024.12.031

pesci e specie marine
Marcello Guadagnino
Biologo marino ed esperto di pesca professionale. Autore del Giornale dei Marinai
Leave a Comment

Comments

No comments yet. Why don’t you start the discussion?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *