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Malacosteus niger: il drago abissale che caccia con la luce rossa

Nel regno degli abissi, dove la luce solare non penetra e la bioluminescenza è spesso l’unico mezzo per vedere e comunicare, vive un predatore dotato di una strategia di caccia tanto raffinata quanto inquietante: il Malacosteus niger, noto anche come pesce drago abissale nero. Questo pesce è uno dei pochi animali noti capaci di produrre e vedere la luce rossa, una lunghezza d’onda invisibile alla maggior parte delle altre creature delle profondità.

Un predatore perfetto nell’oscurità

Appartenente alla famiglia Stomiidae, il Malacosteus niger misura in media 25–30 cm e vive tra i 500 e 2.000 metri di profondità, nelle zone mesopelagiche e batipelagiche degli oceani Atlantico, Pacifico e Indiano. La sua peculiarità evolutiva? Occhi adattati alla visione della luce rossa, un fenomeno rarissimo negli abissi.

Mentre la maggior parte degli organismi abissali emette e percepisce luce blu o verde, questo predatore ha evoluto un pigmento retinico unico che gli permette di vedere il rosso. Così può usare la sua bioluminescenza rossa per illuminare e sorprendere le prede, senza essere visto.

Bioluminescenza rossa

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L’adattamento unico del Malacosteus niger nel produrre bioluminescenza rossa è condiviso soltanto con altre due creature abissali: Aristostomias e Pachystomias. Questa rara forma di bioluminescenza può raggiungere fino a 700 nanometri nelle profondità oceaniche e non viene percepita dagli organismi che emettono luce blu o verde, offrendo così al M. niger un vantaggio considerevole nella caccia.

Altri pesci abissali capaci di rilevare questa luce rossa lontana, come Aristostomias e Pachystomias, lo fanno grazie a pigmenti visivi specializzati. Il M. niger, invece, non possiede questi pigmenti sensibili alle lunghezze d’onda elevate, e al loro posto aumenta la sensibilità alla luce rossa utilizzando un fotosensibilizzatore derivato dalla clorofilla.

Il Malacosteus niger possiede un fotoforo suborbitale (posto sotto l’occhio) a forma di lacrima e di colore marrone scuro, che emette luce rossa con un picco massimo di 710 nanometri. La rimozione dello strato superiore marrone del fotoforo provoca uno spostamento dello spettro di emissione verso lunghezze d’onda più corte, attorno ai 650 nanometri.

I fotofori contengono materiale rosso fluorescente, attivato tramite trasferimento di energia da reazioni chimiche. Il controllo del fotoforo è garantito dall’innervazione tramite rami del quinto nervo cranico, e si ritiene che sia regolato in modo indipendente rispetto al fotoforo blu postorbitale. La fluorescenza del fotoforo rosso è anche più duratura.

Strutturalmente, il fotoforo è formato da un ampio sacco pigmentato contenente una massa di cellule ghiandolari scarlatte. Il sacco è rivestito internamente da uno spesso strato riflettente, con filamenti riflettenti che attraversano il nucleo ghiandolare. Lo strato esterno è composto da grandi cellule epiteliali, che si fondono in uno strato più scuro: si ipotizza che proprio quest’ultimo rappresenti lo strato marrone filtrante della fluorescenza.

Le cellule del nucleo ghiandolare si distinguono per un reticolo endoplasmatico ruvido molto denso.

Una dieta luminosa

Un’altra curiosità sorprendente è che, pur essendo un predatore, si nutre in parte di zooplancton bioluminescente, in particolare copepodi. Proprio da questi ultimi deriverebbe il pigmento responsabile della visione del rosso: non riuscendo a sintetizzarlo da solo, lo ricava attraverso la dieta.

Un perfetto esempio di come la catena alimentare abissale sia delicata e intricata.

Morfologia da incubo

Il corpo del Malacosteus niger è allungato, flessibile, con una testa massiccia e mandibole prominenti dotate di lunghi denti trasparenti e ricurvi. La pelle è scura, quasi vellutata, capace di assorbire fino al 99.5% della luce, rendendolo praticamente invisibile anche sotto illuminazione artificiale.

Curiosità e dati scientifici

  • È uno dei pesci più “neri” mai scoperti: la sua pelle riflette meno dello 0.5% della luce visibile.
  • La specie è stata descritta per la prima volta nel 1878.
  • Il suo nome deriva dal greco: malakos (molle) e osteon (osso), in riferimento alla struttura ossea fragile e adattata alla pressione abissale.

Fonti scientifiche

  • Douglas R.H. et al., “The Visual Pigments of Deep-Sea Fish Malacosteus”, Nature
  • Haddock, S.H.D. et al. (2010) – “Bioluminescence in the Sea”, Annual Review of Marine Science
  • WoRMS – World Register of Marine Species: marinespecies.org
  • Immagine di copertina: Chris Kenaley
pesci e specie marine
Marcello Guadagnino
Biologo marino ed esperto di pesca professionale. Autore del Giornale dei Marinai
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