La vera storia del naufragio della baleniera Essex, affondata da una balena

Il naufragio della baleniera Essex: Una storia di naufraghi e cannibalismo per la disperata necessità di sopravvivere. Una storia di sopravvivenza e di ineguagliabili forze della natura.

 

Il 20 novembre 1820 la nave fu colata a picco da un enorme cetaceo, ispirando Melville per il suo Moby Dick. Venti marinai si salvarono su tre scialuppe, ma per sopravvivere furono costretti a magiare i loro compagni

Agli inizi del  XIX secolo sulle coste della piccola isola americana di  Nantucket, 48 km a sud di capo Cod, nello Stato del Massachusetts la maggior parte della popolazione si occupava direttamente o indirettamente alle attività legate alla pesca. Il Porto di Nantucket era la base di operativa per una attività ittica decisamente remunerativa ma irta di pericoli sulla quale si basava l’intera economia della popolazione che abitava il piccolo arcipelago che assieme alle piccole isole di Tuckernuck e Muskeget, costituiscono la Contea di Nantucket.

La flotta baleniera ospitata nel porto di Nantucket  fu vittima di una tragedia crudele e atroce che fece il giro del mondo e che tanto scalpore fece tra i suoi contemporanei influenzando a lungo l’immaginario collettivo degli uomini di quell’epoca e che riempì di incubi i sonni dei più piccoli. I fatti per la loro agghiacciante eccezionalità furono raccontati da numerosi giornali e riviste tanto da farli entrare nella leggenda ed ispirare ben più di un opera letteraria.

Gli avvenimenti, che mi accingo a raccontare furono di ispirazione per due dei romanzi più famosi della letteratura ottocentesca americana entrati di diritto nel nostro immaginario collettivo e che segnarono il solco all’epopea del grande romanzo americano. Moby Dick di Hermann Melville e Storia di Gordon Pym di Edgar Allan Poe. A cui si dovranno aggiungere Le montagne della follia  di Howard Phillips Lovecraft ideale continuazione del romanzo di E. A. Poe e soprattutto Il naufragio della Baleniera Essex agghiacciante resoconto biografico di Owen Chase, primo ufficiale della Baleniera Essex che fu, insieme al suo equipaggio, la prima protagonista degli orrori della nostra storia e che fu la vera fonte ispiratrice delle opere intrise di disperazione umana e la vera cronaca dell’orrore che ha coinvolto i marinai della baleniera e di tutti i fatti del nostro racconto narrati da chi questi fatti agghiaccianti furono vissuti in prima persona.

naveLa Baleniera Essex ed il suo sfortunato equipaggio sono i protagonisti della nostra storia.  La nave fa parte della grande flotta balaniera di Nantucket. Fare il baleniere e un mestiere pericoloso e i marinai dell’arcipelago questo lo sanno molto bene, ma è anche un lavoro remunerativo e che ti permette di vedere il mondo, due ottimi motivi per dimenticarne i pericoli. I viaggi per mare possono durare anni senza mai fare ritorno al porto di partenza . Si ritorna soltanto dopo aver riempito di grasso di balena tutti i barili che possono contenere le stive della baleniera. Il grasso viene estratto direttamente sulla nave e da qualsiasi tipi di cetaceo. Questo ce lo racconta bene Melville che era stato marinaio in una baleniera e che conosce bene questo mestiere. Ogni specie restituisce una quantità e una qualità diversa di grasso. L’economia del grasso di balena era molto florida in quanto veniva utilizzato come combustibile per le lampade ad olio che risultava economico e meno puzzolente in un epoca in cui non esisteva ancora la luce elettrica e i derivati del petrolio.

L’Essex fu costruita probabilmente a Nantucket nel 1799. Nell’agosto del 1819 lasciò il porto dell’isola  agli ordini del comandante George Pollard. Il primo scalo lo fece su delle isole a Ovest delle coste africane e dopo aver attraversato una tempesta nell’Oceano Atlantico e aver faticosamente doppiato Capo Horn con le stive ancora prive di un bottino di pesca significativo, George Pollard, il comandante, decise di spingersi al largo dell’Oceano Pacifico verso rotte inesplorate. L’inverno era alle porte e gli 800 barili di grasso di balena nella stiva della baleniera erano considerati troppo pochi.

Il 16 novembre 1820 la vedetta sulla coffa di bompresso, finalmente, annunciò la vista di alcuni capodogli. Il comandante fece immediatamente calare tre lance con a bordo coraggiosi balenieri armati di arpioni e centinaia di metri di cime che si gettarono subito all’inseguimento del branco dei capodogli entrati, in quel periodo, nella loro stagione dell’accoppiamento. Un esemplare enorme di maschio, preso subito di mira dagli uomini della Essex, capovolse una delle lance. Due uomini si salvarono, presi a bordo dalle altre imbarcazioni. La nave si mise alle calcagna  del branco di capodogli come uno scozzese con una banconota da 10 sterline con l’intenzione di catturare il maggior numeri di capodogli per riempire le stive di grasso di balena. Il grasso di capodoglio era considerato tra i migliori e quindi commerciabile ad un prezzo più alto. Insomma, il capitano Pollard  era convinto di aver avuto una vero colpo di fortuna. In realtà avvenne qualcosa di talmente imponderabile che nessuno dei comandanti di nave più esperti avrebbe potuto prevedere. La fortuna del capitano si trasformò in un attimo in quello che tutti i marinai, anche i più coraggiosi, temono.

essex balenaIl 20 novembre, in un momento di calma in cui l’equipaggio si era fermato dalla caccia ad oltranza contro quel gruppo di cetacei, l’enorme esemplare di capodoglio maschio lungo più di 85 piedi che già aveva sbalzato in aria la prima scialuppa in un primo tentativo di cattura si scagliò con il muso con una incredibile impeto e cattiveria ad una velocità di più di 30 nodi sulla prua della nave, come se fosse guidato da un impietoso potere sovrannaturale. La nave, duramente colpita iniziò ad imbarcare acqua dal fianco. Lo schianto della testa del capodoglio produsse sullo scafo dell’Essex una falla talmente grande da non poter essere riparata dall’equipaggio. La baleniera non affondò subito e gli uomini sulle lance e sul ponte ebbero un momento d’indecisione che si rivelò fatale. L’enorme cetaceo riemerse, colpì di nuovo la nave già danneggiata dal precedente impatto facendo fuoriuscire nell’impatto tutta la forza di cui la  Natura lo aveva dotato e in cui aveva  ha imbrigliato la volontà “omicida” di questo eccezionale esemplare. La nave non riuscì a resistere all’impatto con un animale così tenace e ostinato disposto a difendere la sua sopravvivenza  e quella del suo branco. La testa del capodoglio si scagliò contro le assi di legno della Essex decretandone una fine inevitabile. Quando la baleniera iniziò ad affondare, gli uomini rimasti sul ponte tentarono di azionare le pompe, ma invano. E’ lo stesso primo ufficiale Chase a narrare l’accaduto definendolo come un vero  e proprio attacco del cetaceo contro la nave.In realtà il comportamento anomalo del cetaceo è da ricondurre alla necessità di sopravvivenza contro un nemico, in questo caso l’uomo che vuole catturarlo. Anche quello che accadde poi e i gesti stremi a cui furono obbligati i superstiti del naufragio sono da ricondurre all’estremo tentativo di sopravvivere. La nostra è una storia di sopravvivenza ma vista da angolature diverse. La Essex non colò subito a picco e ciò permise agli uomini dell’equipaggio di recuperare cibo e acqua necessari ad un mese di navigazione e alcune tartarughe stivate sul veliero  che avrebbero usato come riserve alimentari. Rimasero così in venti su tre lance baleniere. I naufraghi approdarono su un atollo, l’isola di Henderson, abitato da uccelli marini e con una sorgente di acqua potabile. Dopo alcune animate discussioni sul da farsi e le celebrazioni natalizie più tristi della loro esistenza i marinai decisero di ripartire il 27 dicembre, assecondando la volontà di tre naufraghi di rimane sul piccolo atollo (i cui nomi erano Thomas Chappel, Seth Weeks e William Wright) in attesa di soccorsi. I tre saranno soccorsi più di tre mesi dopo, il 9 aprile 1821.

Un lungo viaggio

capitano pollardIl Pacifico, oceano considerato calmo ma avaro di risorse, privo di venti e dalle correnti difficili da affrontare a bordo di lance di salvataggio si rivelò letale per i nostri naufraghi. Nelle vaste aree in cui si trovarono era di fatto impossibile ottenere cibo dal mare, le lance andarono alla deriva per la totale assenza di venti e gli uomini cominciarono a morire di sete e fame. Una delle lance con a bordo il secondo e 5 marinai scomparve in una notte di tempesta. Senza viveri e senza la possibilità di pescare provviste dal mare si insinuò nelle mente dei marinai un terribile desiderio. I marinai si spinsero, con riluttanza al cannibalismo. I superstiti decisero di cibarsi dei corpi dei compagni morti, ma presto anche questa fonte di cibo si esaurì. Della terraferma non vi era nessuna traccia, ed erano passati già 78 giorni dal naufragio. 78 giorni in pieno oceano possono sembrare una vita intera. Senza acqua e senza cibo un eternità di sofferenza. Ma si sa, l’istinto di sopravvivenza è l’ultimo e soccombere in situazioni estreme come quella in cui si imbatterono loro malgrado gli sfortunati marinai. La soluzione, estrema ratio, si insinuò nelle menti dei marinai come qualcosa di necessario ma allo stesso tempo immondo. Fu soprattutto questo momento, raccontato da Owen Chase nelle sue memorie ad ispirare una delle più belle e terrificanti pagine della letteratura americana, quando Gordon Pym, personaggio nato dalla penna di Edgar Allan Poe, insieme ad altri due marinai su una lancia in balia dell’immensità dell’oceano dopo aver fatto naufragio, inermi alle sofferenze indotte dalla fame e dalla sete decidono che uno dei tre dispersi si sarebbe sacrificato per la salvezza degli altri.  Ma come abbiamo spesso constatato la realtà supera o è di ispirazione alla fantasia.A questo punto i marinai dell’Essex si persuasero che fosse rimasta loro un’unica risorsa: uccidere un compagno, estratto a sorte, e mangiarne il corpo. Tale pratica venne messa in atto pur con grandi rimorsi da parte di tutti, finché finalmente – a 650 km dalle coste del Cile – una nave salvò due sopravvissuti (il primo ufficiale Owen Chase ed un marinaio) e, dopo una settimana, un’altra nave avvistò la seconda lancia con a bordo il comandante Pollard ed un marinaio, i quali erano ridotti allo stremo.Il rimorso per il cannibalismo e il tragico sorteggio avrebbe segnato il resto della vita degli uomini sopravvissuti. Il comandante, alla ripresa del mare, naufragò nuovamente su un banco di scogli e si ritirò a Nantucket senza più navigare. Il primo ufficiale Owen dopo alcuni anni prese il comando di altre navi e navigò per parecchie campagne di caccia alle balene, ma in vecchiaia fu dichiarato malato di mente. I marinai superstiti non navigarono più.

L’istinto di sopravvivenza

“È con estrema riluttanza che darò qui il resoconto della spaventosa scena che seguì e di cui nessun avvenimento successivo poté cancellare dalla mia memoria anche il più insignificante dettaglio; il ricordo avvelenerà inesorabilmente tutti gli istanti che mi restano ancora a vivere. Passerò su questa parte della mia storia il più rapidamente possibile, in considerazione degli avvenimenti di cui tratta. Il solo modo che avessimo a disposizione per quella terribile lotteria, in cui giocavamo tutti il nostro turno mortale, era quello delle paglie. Piccoli bastoncini di legno più o meno lunghi potevano svolgerne la funzione e fu stabilito che sarei stato io a reggerli in mano. Fra tutte le tragedie in cui un uomo può incappare, rare sono quelle in cui non faccia ricorso all’istinto di sopravvivenza, un istinto che cresce tanto più è fragile il filo che lo lega alla vita. Ma la faccenda che mi era toccata, così diversa dal 116 tumulto e i pericoli della tempesta o dalla tortura crescente della fame, quella faccenda – ripeto – m’indusse a pensare alle poche probabilità che mi si risparmiasse la più terribile delle morti, terribile per lo scopo stesso cui doveva servire; e ogni particella della forza che mi aveva sostenuto per così lungo tempo si involava rapidamente come piuma in balìa del vento, lasciandomi il miserabile trastullo del più abbietto e miserabile terrore. All’inizio non avevo la forza per spezzare e raccogliere insieme i pezzetti di legno, perché le mie dita rifiutavano quel compito e le ginocchia tremavano convulsamente. Passai velocemente in rassegna i modi più assurdi per evitare di essere complice di quell’odiosa speculazione. Pensai di gettarmi ai piedi dei miei compagni e scongiurarli di risparmiarmi questo triste compito, di scagliarmi su di loro all’improvviso e ucciderne uno perché fosse inutile tirare a sorte; in una parola, pensai a tutto fuorché a compiere ciò che dovevo fare. Finalmente, dopo aver perso non poco tempo in quelle folli considerazioni, fui richiamato a me stesso dalla voce di Peters che mi invitava a toglierli al più presto dalla terribile ansia; ma anche allora non potevo risolvermi a estrarre i pezzetti di legno e indugiai immaginando ogni astuzia per far estrarre quello più corto a uno dei miei compagni di miseria, perché era convenuto che quello cui fosse toccato sarebbe morto per salvare gli altri. Prima però di condannarmi per questa malvagia idea, il lettore provi a mettersi al mio posto. Alla fine, non potendo più differire la cosa e col cuore che mi batteva in petto fino a scoppiare, avanzai verso il castello di prua dove mi aspettavano i miei compagni, tesi una mano e Peters estrasse subito il suo. Il bastoncino non era il più corto, era salvo, e dunque una speranza in meno per me, una probabilità di salvarmi che svaniva. Cercando di raccogliere il coraggio, porsi i bastoncini ad Augustus, che estrasse immediatamente il suo. Anch’egli era salvo! E poiché ora le probabilità di vita o di morte si bilanciavano perfettamente, sentii crescere in me la ferocia della tigre, l’odio peggiore, più demoniaco contro il mio povero compagno Parker. Ma questo sentimento non durò a lungo e, con un tremito convulso e gli occhi chiusi, gli tesi i due bastoncini rimanenti. Trascorsero forse cinque minuti prima che si risolvesse a scegliere e in quei momenti di angoscia che sembrava spezzarmi il cuore, non aprii mai gli occhi. Finalmente estrasse uno dei bastoncini, ma ignoravo ancora quale fosse; nessuno parlava e io restavo immobile, smarrito, senza osare di scoprire il mio destino alzando gli occhi sul legnetto rimasto. Quando Peters mi toccò la mano, alzai lo sguardo su Parker e mi accorsi subito dalla sua espressione che ero salvo e che egli era il condannato. Rimasi senza fiato e caddi svenuto sul ponte. Ripresi conoscenza in tempo per assistere all’epilogo del dramma, cioè alla morte di colui che ne era stato il protagonista, poiché aveva suggerito l’idea. Non oppose la minima resistenza e, colpito alla schiena da Peters, cadde subito morto. Non descriverò qui l’orrendo banchetto che seguì, né ciò che avvenne nei giorni seguenti perché simili cose si possono soltanto immaginare e le parole non avrebbero mai la forza sufficiente a imprimere nella mente l’orrore della realtà. Dirò soltanto che, avendo calmato la spaventosa sete bevendo il suo sangue e, sbarazzatisi di comune accordo di mani, gambe e testa gettandoli in acqua, facemmo a pezzi e divorammo il resto nei quattro giorni che seguirono.

L’incalzante descrizione psicologica di Poe si mostra in tutta la sua crudeltà nella decisione collettiva di uccidere e cibarsi di uno di loro affinché gli altri possano soddisfare la fame e quindi sopravvivere. Il rimorso per il cannibalismo e il tragico sorteggio avrebbe segnato il resto della vita degli uomini sopravvissuti. Il resoconto di uno degli otto superstiti, Owen Chase, sconvolse il pubblico ottocentesco: in particolare colpì Herman Melville, che ne trasse ispirazione per Moby Dick, la storia della Pequod, anch’essa salpata dal porto di Nantucket.La tragica storia della baleniera Essex ispirò Hermann Melville per il suo romanzo più fortunato, Moby Dick ambientato nell’ambiente dei marinai di Nantucket e che racconta della maniacale ricerca del folle capitano Achab della enorme Balena Bianca Moby Dick  un capodoglio che incarna le forze incontrastabili della natura.  Anche il Pequod, la baleniera governata dal capitano Achab non ebbe una felice sorte e fu affondata dalla furia di Moby Dick insieme al suo intero equipaggio, risparmiando soltanto il marinaio Ismaele “unico sopravvisuto del Pequod” che è la voce narrante dell’intero romanzo.L’impari lotta degli uomini di mare contro le tempeste, il freddo, le malattie, l’ombra della morte che saltella sui pennoni nell’attesa di scagliarsi sulla prossima vittima, l’impercettibile cima della sopravvivenza cui si aggrappa la ciurma disperata, altro non sono che la realistica parabola sul destino umano. Il Dio dei marinai di Nantucket li rende padroni del mare e delle sue creature, ma pone anche un limite al loro orgoglio scagliandoli negli abissi dell’oceano, oppure trasformandoli in vermi costretti a nutrirsi della loro stessa carne.La storia ha ispirato anche delle pellicole cinematografiche tra cui In the heart of the sea diretto da Ron Howard e Moby Dick con una magistrale interpretazione di Gregory Peck nei panni del capitano Achab.

 

Racconto del primo ufficiale Owen Chase

balenieraIl 12 agosto 1819 la baleniera Essex, della quale Chase è primo ufficiale, salpa da Nantucket verso l’oceano Pacifico. Come lui stesso racconta nei propri appunti di viaggio, il 30 agosto la Essex raggiunge l’isola di Flores, nelle Azzorre, dove sosta col suo equipaggio per due giorni, al fine di fare rifornimento di cibo. Da qua, la baleniera fa rotta verso Sud, raggiungendo in 16 giorni l’isola di Maio (Capo Verde). Da qui, attraversato capo Horn, la nave si dirige prima verso l’isola di St. Mary lungo la costa cilena, passando per Massafuera, facendo poi rotta per le isole Galapagos. Dopo una prima sosta di 7 giorni sull’isola di Hook e un’ultima sosta di 6 giorni presso Charles Island, il 23 ottobre la Essex e il suo equipaggio salpano a caccia di balene.

Il 16 novembre, Chase e compagni si imbattono in un branco di balene: lui con altri 5 occupano una delle lance deputate alla caccia. Durante la battuta, l’imbarcazione di Chase subisce dei danni causati dal colpo di coda di un cetaceo; fortunatamente nessun uomo dell’equipaggio riporta ferite.

Il 20 novembre, intorno alle 8 del mattino, viene avvistato un nuovo banco di balene e Chase e il resto dell’equipaggio si precipitano alla caccia. In quest’occasione Chase arpiona una balena che nel tormentato dimenarsi colpisce la lancia causandone l’apertura di una falla. Dopo attimi concitati, Chase taglia la cima che lega la barca (tramite l’arpione) alla balena; l’acqua comincia a riversarsi nell’imbarcazione, così l’equipaggio cerca di tamponare la falla gettando e pressando delle giacche sul buco. Mentre Chase e compagni si dirigono verso la Essex per provvedere alla riparazione dell’imbarcazione, il capitano e il secondo ufficiale con le rispettive imbarcazioni ed equipaggi proseguono nella caccia. Una volta giunti alla baleniera, la lancia viene sollevata e Chase esamina la falla apertasi: stabilito di poterla riparare, l’equipaggio si adopera. Mentre il primo ufficiale è intento ad inchiodare e riparare, si accorge di un grosso capodoglio di circa 85 piedi di lunghezza, col muso rivolto in direzione della baleniera e che si trova a circa 100 metri dalla prua. Dopo due o tre spruzzi, scompare e in meno di due o tre secondi riappare muovendosi in direzione della baleniera alla velocità di circa 3 nodi. Al principio, l’atteggiamento del capodoglio non desta nessun sospetto o allarme nel primo ufficiale. Tuttavia, proprio quando Chase dà ordine di muoversi cercando di evitare la grossa balena, questa parte, letteralmente, a caricare la nave colpendola col muso appena prima della prua. La nave si muove improvvisamente e violentemente come avesse urtato delle rocce. La balena continua poi a muoversi nei pressi della nave grattandone la chiglia. L’urto col cetaceo provoca l’apertura di una falla nella baleniera la cui prua comincia lentamente ad inabissarsi, quindi Chase ordina la messa in funzione delle pompe. La balena tuttavia rivolge un nuovo attacco alla Essex provocandone danni irreparabili; a questo punto l’animale scompare. È lo stesso Chase nei suoi scritti a descrivere l’accaduto come un vero e proprio attacco che il cetaceo avrebbe sferrato verso la nave. A questo punto l’equipaggio, poi raggiunto dalle due lance rimaste impegnate nelle operazioni di caccia, comincia a racimolare quanto più materiale utile è possibile recuperare dal relitto che lentamente va inabissandosi.

balenieraIl 22 novembre, stando alle osservazioni effettuate, l’equipaggio conclude di essere alla latitudine di 0° 13′ Nord e a longitudine 120° 00′ Ovest, di aver oltrepassato la linea equatoriale probabilmente durante la notte, 19 miglia alla deriva. Dopo aver ultimato le osservazioni nautiche, il capitano Pollard convoca un concilio con Chase e il secondo ufficiale Matthew P. Joy per decidere il da farsi: l’equipaggio è composto da un totale di 20 uomini, distribuiti in tre imbarcazioni. La terra più vicina si pensa possano essere le Isole Marchesi, tuttavia dopo una serie di valutazioni, è presa la decisione di dirigersi verso sud nella speranza di raggiungere le coste di Cile o Perù e alle 12.30 circa l’equipaggio della ormai inabissata Essex lascia il relitto. La sopravvivenza di Chase e compagni è messa a dura prova: tempeste, vento sferzante, sole cocente, fame e sete, ecc, sono alcune delle terribili condizioni alle quali si trovano esposti alla deriva nell’oceano. La mattina del 20 dicembre tuttavia le tre lance incappano in un’isola, che credettero essere l’Isola Ducie (era invece l’Isola Henderson), situata ad una latitudine di 24°40′ Sud e longitudine 124°40′ Ovest. Si tratta di una piccola isola con risorse limitate, quindi dopo sei giorni viene presa la decisione di rimettersi in viaggio attraverso l’oceano. Tre membri dell’equipaggio, evidentemente provati dagli stenti e dalle condizioni dell’oceano, chiedono tuttavia di poter restare sull’isola. Si tratta di William Wright e Seth Weeks di Bernstable (Massachusetts) e Thomas Chapple di Plymouth (Inghilterra).

Il 12 gennaio a seguito di una violenta tempesta, la lancia di Chase viene separata dalle altre due. A questo punto Chase e compagni sono stremati nel corpo e nell’anima dell’incredibile sciagura dalla quale sono stati colpiti. Man mano che i giorni passano (si è ormai sul finire di gennaio), alcuni uomini si spengono e i loro corpi vengono affidati al mare, finché gli stenti diventano tali da suggerire ai restanti uomini di nutrirsi coi resti dell’ultimo compagno defunto. Chase narra con estremo dolore e raccapriccio di quanto accaduto, descrivendo una situazione al limite dell’immaginabile e umanamente insopportabile. In egual modo, abbiamo visto, si comporta Poe nei confronti di questa raccapricciante ipotesi. Solo intorno all’11 di febbraio Chase e compagni superstiti vengono raccolti dalla nave del capitano William Crozier, di Londra, alla latitudine di 33°45′ Sud e longitudine di 81°03′ Ovest. Chase narra che il capitano Pollard e i sopravvissuti della sua lancia sono stati tratti in salvo dalla baleniera Dauphin comandata dal Capt. ZimriCoffin di Nantucket.

La terza lancia, separatasi da quella del capitano intorno al 28 febbraio, non fu ritrovata.

L’11 giugno Chase torna a Nantucket a bordo della baleniera Eagle, comandata dal Capt. William H. Coffin.

Di Giancarlo Guadagnino

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