Squali e razze nel Mediterraneo: 90 anni di ricerche, ma tante domande ancora aperte

Squali e razze nel Mediterraneo: 90 anni di ricerche, ma tante domande ancora aperte

Il Mar Mediterraneo è uno dei luoghi più complessi e affascinanti per la biodiversità marina. In questo bacino, che ospita 87 specie di elasmobranchi (squali e razze ), si concentrano minacce ambientali, pressioni antropiche e anche una crescente attenzione scientifica.

Una recente analisi di Lydia Koehler (Università di Plymouth) ha passato in rassegna più di 1200 pubblicazioni scientifiche prodotte tra il 1932 e il 2020 nei 22 Paesi costieri del Mediterraneo. Il quadro che emerge è duplice: da un lato, una crescita costante delle conoscenze; dall’altro, forti squilibri tra Paesi, carenze di collaborazione e lacune evidenti su temi chiave come la protezione degli habitat critici e l’efficacia delle politiche ambientali.


Una produzione scientifica in aumento, ma diseguale

L’Italia è il Paese con il maggior numero di pubblicazioni (370), seguita da Francia, Tunisia, Spagna e Turchia. Tuttavia, se si considera il rapporto tra numero di pubblicazioni e PIL, la Tunisia emerge come leader, seguita da Turchia, Italia ed Egitto. Questo indice, detto Standardised Publication Effort, aiuta a capire quanto ogni Paese investa in ricerca rispetto alle proprie risorse economiche.

Solo il 30% degli articoli ha coinvolto collaborazioni internazionali. La maggior parte delle pubblicazioni proviene da università (44,5%), seguite da istituti di ricerca indipendenti e ONG.

Di cosa si occupa la ricerca?

Il focus principale degli studi riguarda:

  • Ecologia e biologia (76,2%): distribuzione, abbondanza, riproduzione, crescita.
  • Pesca (9,9%): catture, bycatch, composizione delle specie.
  • Inquinamento (4,5%): effetti dei contaminanti, anche microplastiche.
  • Tassonomia e morfologia (3,8%).
  • Conservazione e gestione (solo il 2,1%).

Temi come il commercio di carne di squalo, turismo o policy ambientali sono raramente trattati (<1%).

Tra le specie più studiate figurano Scyliorhinus canicula (gattuccio), Galeus melastomus e Raja clavata. Tuttavia, non c’è una corrispondenza tra il rischio di estinzione (secondo la IUCN) e l’interesse scientifico: molte specie minacciate restano poco indagate.

Metodi di ricerca: tradizione e innovazione

Oltre la metà degli studi si basa su dati provenienti dalla pesca commerciale, sia storica che attuale. Tuttavia, negli ultimi anni, crescono anche i metodi non letali come:

  • BRUVs (video subacquei con esche)
  • Citizen Science
  • Analisi dei media e dei social network
  • Sondaggi e interviste

Questi strumenti permettono di monitorare le specie senza danneggiarle, fondamentale quando si tratta di animali a rischio.


Le politiche seguono (troppo lentamente) la scienza

Sebbene esistano accordi regionali come la Convenzione di Barcellona e strumenti internazionali come CITES e CMS, le politiche spesso non si basano su dati aggiornati. Inoltre, la ricerca scientifica non viene sempre tradotta in misure concrete. Per esempio, l’urgenza di proteggere habitat critici come aree di riproduzione e nursery è stata riconosciuta già nel 2003, ma solo 10 studi si sono concentrati su questi temi in quasi vent’anni.


Verso il futuro: più cooperazione, più dati, più azione

Negli ultimi anni sono emersi segnali incoraggianti. Il gruppo specialistico della IUCN ha avviato una mappatura delle aree critiche per squali e razze (Important Shark and Ray Areas), con workshop anche nel Mediterraneo. Inoltre, alcune iniziative nazionali (come l’atlante siriano di squali e razze) e nuove linee guida della FAO dimostrano un rinnovato interesse a livello regionale.

Tuttavia, servono più ricerche orientate all’azione, una migliore comunicazione tra scienziati e decisori politici e una maggiore valorizzazione delle competenze locali, specialmente nei Paesi con meno risorse.

pesci e specie marine
Marcello Guadagnino
Biologo marino ed esperto di pesca professionale. Autore del Giornale dei Marinai
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