Nella cornice dell’Isola di Procida si è svolto un seminario sull’acquacoltura e sugli allevamenti di ricci e alghe che ha aperto degli scenari interessanti per il futuro del mare, della pesca e degli indotti collaterali. Una risorsa da far fruttare e non sovrasfruttare per permettere il ripopolamento dei mari
Nella magnifica cornice dell’Isola di Procida si è svolto, il giorno 4 Ottobre, un seminario sulla produzione dei ricci di mare e di Alghe per consumo umano. Alla presenza di Istituzioni quali il MIPAAF, la Formez, la FAO (nella fattispecie SGEM), FEAMP e le autorità dell’Isola di Procida. Tale progetto è stato finanziato da ECHINO IDEA, start up innovativa nel settore che ha iniziato un progetto a lungo termine, e dalla Regione Campania.
L’Acquacoltura è business legato e correlato alla restaurazione e manutenzione dell’ambiente marino. Per il quale si adopera un tipo di sistema di controllo, pulizia e pesca più costoso, ma sicuramente più ecosostenibile. Tale funzione, impatta addirittura gli ecosistemi. Bisognerebbe provvedere ad incentivare la ecosostenibilità con aumento di pesci selvatici (anche di allevamento) e con la diminuzione del carbonio. Questo porterebbe ad una maggiore resilienza che ha come conseguenza, una maggiore sicurezza alimentare. E’ una catena direttamente proporzionale: aumentando la sicurezza ambientale, non viene arrecato danno alla comunità, il sistema diventa resiliente ed ecosostenibile e migliorerebbe la qualità anche del prodotto finale. Visto l’eccessivo sforzo di pesca e ad un clima che si sta stravolgendo, si sta operando in questo senso: salvaguardare l’ambiente marino, aiutando, lo sviluppo e la crescita di alcune specie. Come quella dei ricci, visto che, nel mondo, si calcola, ci siano “soltanto” 8 bilioni di specie. Se si pescano, in maniera indiscriminata, per il consumo umano (vengono mangiati, in maniera scriteriata) i ricci potrebbero addirittura scomparire, l’ambiente marino si svuota, e, lo stesso prodotto, perderebbe il valore commerciale. La soluzione che è stata proposta è quella di rimuovere i ricci e portarli in allevamenti. Questo progetto va avanti da anni. Visto che i ricci possono non alimentarsi per 3 giorni, si prendono dei ricci vuoti, si mettono in allevamenti e, dopo alcuni giorni, crescono del 30% circa, aumentando il valore commerciale.
Di modo che si può attuare una commercializzazione consapevole e, nel contempo, l’ambiente si ripopola. Per quanto concerne la pesca dei ricci, il primo aspetto che è stato sottoposto all’attenzione dei presenti è stato quello normativo. Infatti, per la pesca dei ricci, esistono normative differenti, talvolta contrastanti, per le varie, differenti, zone di pesca. Questo accade perché del riccio c’è una lunghissima tradizione gastronomica: già gli antichi Greci prima e i Romani poi ne parlavano. Quinto Orazio Flacco, sosteneva, che i ricci migliori erano quelli del Miseno. Addirittura, c’erano tracce già nel Neolitico, all’interno dei celebri Nuraghi sardi. C’è stato bisogno di introdurre delle normative specifiche e stringenti per evitare la raccolta indiscriminata (per foraggiare famose sagre in alcune regioni come la Puglia o in alcuni stati esteri come la Francia che, affacciando su due mari -Atlantico e Mediterraneo- adotta normative differenti) e per scoraggiare i bracconieri.
La normativa migliore è quella introdotta dalla Grecia (ma per la lunga tradizione storica non avrebbe potuto essere altrimenti) già nel 2014. Normativa con la quale sono stati introdotti dei periodi e quantitativi specifici di pesca. L’Italia (ma la Sardegna ha normativa speciale a parte) ha introdotto una legislazione già dal 1995, non eccessivamente stringente, tanto che, il riccio, è una specie a rischio. Alcune zone, come la Turchia, non ha affatto legislazione e, quindi, per evitare un eccesso di pesca che può portare all’estinzione della specie dalla zona, c’è stato uno stop totale, fino al completamento di studi attendibili. A Cipro esiste una normativa che regola soltanto la pesca amatoriale, invece, in Egitto (come in Turchia) ed in Montenegro non esiste legislazione, ma le autorità stanno andando nel verso di adottare normative stringenti, per arrivare al prelievo responsabile e consapevole.
I ricci hanno una importanza a livello scientifico, tanto è vero che si è iniziato una “Gameti collection” attraverso il quale si arriva ad approcci, a tecniche e sviluppi differenti per la ricerca. In Sardegna c’è un “Progetto Riccio” che vede questa specie come una risorsa ecosostenibile (che risolverebbe in parte i problemi di sostenibilità) e che si vorrebbe utilizzare per la ripopolazione di parte dell’ambiente marino anche per diversificare le specie. Addirittura ci sono delle zone, in Italia, Francia e Spagna, definite “Hidden Deserts” , luoghi dove dovrebbe svilupparsi la biodiversità, ma dove c’è deserto perché i ricci si nutrono e dove vi è mancanza di predatori. Attraverso lo sviluppo dell’acquacoltura e della sostenibilità della pesca dei ricci, si punta alla possibilità di migliorare e creare opportunità di business che porta ad un incremento economico e migliorerebbe l’indotto.
CASO ANDALUCIA
I ricci sono presenti nella costa Sud della Spagna, tra Mediterraneo e Atlantico (problema legislativo). La ricerca, qui, è sovvenzionata dallo Stato, ed è iniziata circa 12 anni fa. Nella zona dell’Atlantico, la popolazione pescava (e commercializzava) il prodotto in maniera selvaggia e senza regole. Tanto che, le autorità, hanno dovuto imporre uno stop, dal 1999 e, dopo 3 anni di studi intensi, hanno iniziato a regolamentare tutti i tipi di pesca e commercializzazione dei ricci. Con una normativa definita e definitiva che ha visto la luce nel 2003 dove hanno inserito dei criteri per la raccolta dei ricci che è diventata più professionale. Infatti vengono monitorate le aree dove c’è una crescita costante (una zona dove, peraltro, si è iniziata una campagna di ripopolamento delle vongole e dei gamberi).
Progetto Alghe
Anche il Progetto Alghe ha suscitato l’attenzione delle autorità del settore, poiché queste sono un prodotto destinato al possibile consumo umano. Le alghe sono diventate una priorità del Mediterraneo anche per la pesca e l’acquacoltura: si sono interessati 22 paesi UE, che condividono strategie per lavorare in sinergia. Inoltre vengono portati avanti degli esperimenti in varie Regioni e l’attenzione sulla materia è sempre crescente.
Le principali attività si svolgono nel Mediterraneo e nel Mar Nero, anche se, ad onor del vero, è l’Asia il maggior produttore di Alghe al mondo (circa il 90%). Le alghe, fin dall’Impero Romano, sono sempre state sfruttate per molteplici finalità: dal consumo umano, alla cosmesi, alle estrazioni. In futuro, questo prodotto, avrà un’importanza cruciale (visto che si può utilizzare anche per il consumo animale): in alcune parti del mondo (in particolare nel Nord Africa) esistono degli allevamenti di alghe (dalle Macro Alghe alla famosa e commestibile Spirulina) che sono certificati e che, entro il 2027, potrebbero portare alla creazione di nuovi posti di lavoro, poiché si punta alla lavorazione di 800 tonnellate di alghe.
Al momento la lavorazione avviene attraverso il tubular net, che sono una serie di tubi che raccolgono le alghe destinate alla lavorazione. Un sistema costoso ma ecologico visto che si tratta di bioplastiche (queste, a differenza della plastica normale, sono biodegradabili). Negli allevamenti di alghe, si arriva alla trasformazione prima e alla commercializzazione del prodotto poi. Per esempio, attraverso la lavorazione, si può avere una gelatina che rimpiazza quella animale e che viene utilizzata per la conservazione di alcuni prodotti (come la carne, il formaggio, o addirittura per la cosmesi). L’Alga è un materiale grezzo che può essere raffinato o semiraffinato.
Insomma delle risorse per il futuro che potrebbero aiutare a salvare e salvaguardare il pianeta, a patto che vengano lavorate con intelligenza e perseveranza.
NelloPaolo Pignalosa