La piccola pesca costiera rappresenta un segmento fondamentale dell’economia ittica italiana: l’ 82% circa delle imbarcazioni italiane dedite, circa 30.000 marittimi impegnati direttamente nel settore, 100.000 se consideriamo anche coloro i quali lavorano a terra. Un indotto complessivo di circa 500.000 lavoratori.. Patrimonio da salvaguardare e tutelare in quanto, soprattutto rispetto agli altri metodi di pesca, utilizza attrezzi selettivi e a basso impatto ambientale. Si parla di unità che operano con attrezzi selettivi che consentono di catturare solo specifiche specie bersaglio, della taglia desiderata; non vengono danneggiati i fondali e si evitano il più possibile sprechi, catture accidentali e rigetti.
I cosiddetti “piccoli pescatori costieri artigianali” dunque si pongono come i primi difensori dell’ambiente e della risorsa, legando la propria sopravvivenza economica a quella ecologica dell’ecosistema marino. Un legame a doppio filo che nel Mar Mediterraneo (ecosistema profondamente diversificato, caratterizzato da un’ampia gamma di specie), ha modo di esplicarsi più che altrove.
Qui infatti, grazie alle enormi opportunità offerte non solo dalla fitta presenza di specie bersaglio ma anche dall’ampia possibilità di catture accessorie, dalla stagionalità di molte specie, dalla presenza di stock di interesse commerciale, la pesca si pone come attività diversificata sotto molteplici aspetti, ma in special modo relativamente ai mestieri utilizzati. Si tratta, in generale, di attrezzi fissi, reti da posta, ferrettare, palangari, ma anche piccole circuizioni, lenze trainate ed arpioni che presentano caratteristiche tecniche diverse e un uso legato alla stagionalità.
Quella stagionalità che oggi i consumatori richiedono e che la GDO non rispetta, presentando in ogni momento qualsiasi produzione derivante dall’import, svalutando così il nostro made in italy.
La piccola pesca costiera riesce a fondere perfettamente abitudini e tradizioni antiche con le più moderne esigenze lavorative, di mercato, culinarie e anche turistiche; un’attività che presenta dunque non soltanto una valenza economica, ma anche ambientale, sociale e culturale. “La piccola pesca costiera artigianale può riuscire nell’intento di generare una rivalutazione della figura della pescatore e della sua attività, considerati ormai “pericolosi” per l’ambiente e soprattutto per la risorsa. Il pescatore costiero va considerato un vero e proprio artigiano che, provvedendo a fornire prodotto ittico destinato al consumo alimentare dell’uomo, non solo si pone a baluardo degli ecosistemi marini, ma cerca di dar luogo a una attività che si ponga quanto più possibile sostenibile da un punto di vista ambientale. Mi sento di affermare che la sostenibilità ambientale sia addirittura intrinseca a questo tipo di pesca: basti pensare alle tecniche e agli attrezzi che rispettano gli habitat marini senza danneggiare i fondali, riducendo ai minimi termini la possibilità di inquinamento; viene assicurato un equilibrio, delicato ma netto, tra la risorsa e l’attività estrattiva pescando il necessario eliminando gli sprechi; tutto questo centra il duplice obiettivo di assicurare sopravvivenza economica ai pescatori e tutela dell’ ambiente e della risorsa.
La sostenibilità non deve essere intesa però come abbandono dell’attività: i pescatori devono essere messi nelle condizioni di pescare, non di più ma meglio, lasciando una impronta ambientale che sia minima e comunque non impattante. Il sistema delle Filiere Ittiche consente al comparto di cogliere la grande occasione di innovazione e ricambio generazionale e gestire il futuro programmandolo attraverso leggi che il settore aspetta da tempo; va riorganizzato il welfare state di un Settore Ittico quasi sempre lasciato in sub jure approssimato, con corse dell’ultimo minuto nelle leggi di programmazione di bilancio. Questo è quello di cui hanno bisogno i nostri PESCATORI, questa è la possibile via di un ricambio generazionale che parte dall’organizzazione di Filiera.
La sostenibilità ambientale della cosiddetta piccola pesca, antica e tradizionale, passa attraverso l’innovazione: una innovazione che si pone prima di tutto a livello culturale. C’è bisogno di un cambiamento nell’ambito dei consumi: il consumatore deve dare preferenza a cibo sano di qualità, deve essere consapevole di ciò che mangia e il consumo responsabile si pone come fatto culturale appunto. Il pesce sano, di qualità, è ecologicamente sostenibile quando è il risultato di un sistema produttivo rispettoso dell’ambiente e delle risorse: la Pesca costiera italiana è tutto questo.
Bisogna RIPRENDERSI attraverso la gestione dei Mercati Ittici e delle aste, bisogna creare sinergie tra i mestieri di pesca e fare sistema o per meglio dire lobby che non è una brutta parola. La crisi pandemica che sta caratterizzando i nostri tempi ci ha evidenziato alcuni limiti propri dei sistemi alimentari nazionali i quali però sono riusciti a garantire cibo anche quando tutto si era davvero fermato. Abbiamo avuto conferma di un fatto tutto sommato banale:il cibo, e dunque anche il pesce, deve sempre raggiungere il cittadino; abbiamo preso consapevolezza che questo può accadere anche evitando la grande distribuzione. I prodotti di cattura dei nostri pescatori (che abbiamo definito sostenibile ecologicamente) può fare questo: dal mare alla tavola in un contesto di filiera corta che realizza a pieno il concetto di sostenibilità economica (il pescatore produttore di un bene che gli assicura un giusto reddito raggiungendo il consumatore che acquista pesce di qualità a un giusto prezzo); un percorso che assicura anche sostenibilità sociale: tutti i consumatori possono “permettersi” cibo sano, di qualità, a prezzi accessibili.
Una filiera corta all’ interno della quale possono giocare un ruolo determinante le Organizzazioni di Pescatori, intervenendo non solo a livello produttivo ma anche a livello di trasformazione e distribuzione. Ancora. Il ricambio generazionale si lega fortemente all’ innovazione e alle nuove opportunità lavorative che questa offre; un solo esempio: la pescaturismo non solo si pone come occasione di reddito a “integrazione” o “alternativa” per un giovane pescatore, ma può divenire possibilità di occupazione per giovani biologi, economisti, ma anche cuochi etc. Un mare di opportunità insomma che devono essere colte, dai nostri pescatori e dai nostri giovani, sfruttando le capacità e le inclinazioni personali ma anche, perché no, i fondi strutturali messi a disposizione dall’ Europa. Il mondo della piccola pesca, dunque, si pone a giusta sintesi tra tradizione e innovazione, tra opportunità economica e salvaguardia ambientale, tra sfruttamento sostenibile e adeguata capacità reddituale.” Così G. Scognamiglio, presidente nazionale UNCI Agroalimentare.