Conservazionisti dell’Area Marina protetta del Plemmirio e del Centro Studi SCIE hanno avviato in questi giorni una collaborazione con ricercatori dell’Università di Salford, utilizzando una tecnica il cui intento è rivoluzionare il monitoraggio della biodiversità.
Ricercatori provenienti da quattro continenti si sono incontrati questa settimana a Siracusa, utilizzando allo scopo anche la sala “Ferruzza-Romano e la Spiaggetta Maniace nella sede del Consorzio Plemmirio, per discutere e testare applicazioni del “DNA ambientale” (Environmental DNA) per la conservazione della biodiversità marina.
Si tratta di un nuovo approccio che si basa sul recupero di frammenti di DNA da campioni di acqua marina, per identificare le centinaia, migliaia di specie che popolano i nostri mari, senza il bisogno di catturare gli organismi.
<<Il nostro ambiente è pieno di molecole di DNA, continuamente rilasciate dagli organismi – spiega il professor Stefano Mariani, dell’Università di Salford – raccogliere questi frammenti è relativamente facile, rapido, e molto meno costoso che organizzare varie campagne di monitoraggio utilizzando metodi tradizionali>>.
Le aree marine protette, è stato rilevato dagli studiosi, hanno un ruolo fondamentale nel preservare nuclei di biodiversità e nel ripopolare le aree circostanti. Avere l’opportunità di monitorare e valutare i gradienti e i cambiamenti delle comunità, dentro e fuori le aree protette, senza provocare disturbo agli organismi e all’habitat, rappresenta pertanto una ottima prospettiva naturalmente anche per l’Area Marina Protetta del Plemmirio.
Il Centro Studi SCIE che ha stipulato un protocollo d’intesa con l’oasi marina siracusana è responsabile di un programma di alta formazione sui nuovi metodi d’indagine nelle scienze ambientali.