L’ acquacoltura nel 2050 sfamerà 9 miliardi di persone
Migliorare la produttività e le prestazioni dell’acquacoltura. All’inizio di giugno rilasciato un rapporto da WorldFish per la creazione di Sustainable Food
Il rapporto prodotto dal World Resources Institute (WRI), in collaborazione con la Kasetsart University della Thailandia e l’istituto Francese INRA, è composto da una serie di documenti che si concentrano su come trovare nuove strategie per nutrire il pianeta, che nel 2050 raggiungerà una popolazione di nove miliardi.
Le parole chiavi del rapporto sono “pratica” e “risparmio”. Ridurre le perdite di cibo, incrementare le rese e aumentare la produttività.
La cattura dei pesci selvatici non è sostenibile, affermano gli autori del lavoro. Il 30% degli stock ittici sono pescati oltre il loro limite biologico. La risposta si trova nell’ acquacoltura.
Per rispondere alla domanda di prodotti ittici nel mondo, soprattutto in Asia, bisogna far crescere le attività di coltivazione del pesce. Sebbene l’ acquacoltura però crea nuovi posti di lavoro, bisogna cercare di ridurre l’impatto ambientale che tale attività può avere come inquinamento, malattie e danni degli ecosistemi.
I problemi dell’ acquacoltura
Più di un miliardo di persone fa affidamento sul pescato come fonte principale o esclusiva di proteine animali, soprattutto nei paesi in via di sviluppo . Tuttavia, la metà delle zone marine di pesca naturali ha già raggiunto il limite di utilizzo, e un ulteriore quarto è già sovrasfruttato (FAO 2007). Si sta verificando il cosiddetto fenomeno del “fishing down the food web”: man mano che le riserve di specie di pesci con elevato livello trofico, spesso le più grandi, si esauriscono, i pescatori dirigono la propria attenzione sulle specie con un basso livello trofico, spesso le più piccole. Queste ultime vengono infatti impiegate con sempre maggior frequenza come alimento e olio per l’acquacoltura e come alimento negli allevamenti di pollami e suini. L’acquacoltura, che include anche le gabbie mobili in mare aperto (ad esempio, per il tonno rosso), si sta diffondendo rapidamente, soprattutto in Cina e nell’area del Mediterraneo, e ha contribuito per il 27 % alla produzione mondiale di pescato nel 2000 (Valutazione degli ecosistemi del Millennio 2005a), ma dipende in larga misura dalle zone marine di pesca per alcune materie prime e, considerata da un punto di vista globale, potrebbe non ridurre la nostra dipendenza da tali zone. Il fenomeno del “fishing down the food web” produce impatti variegati sulla biodiversità degli oceani. Ad esempio, le fioriture di meduse che si sono moltiplicate nei mari di tutto il mondo nell’ultimo decennio sono imputate in parte a questa situazione: tali organismi hanno infatti sostituito i pesci nel ruolo di planctivori dominanti in numerose aree e si teme che questi mutamenti possano non essere facilmente reversibili, poiché le meduse si cibano anche delle uova dei loro pesci concorrenti.
Tale perdita di biodiversità potrebbe avere conseguenze disastrose sulla fornitura di pesce alla popolazione umana e sull’economia.