“Non dobbiamo vergognarci”: i cacciatori di delfini di Taiji sul film che li ha resi protagonisti di una brutta storia.
Sono le 3 di mattina quando una dozzina di pescatori si radunano sulla banchina ed accendono un braciere per riscaldarsi. Il resto della baia dorme ancora ed i pescatori tra una sigaretta ed uin caffe’ attendono il momento adatto per salire in barca e dirigersi in mare alla ricerca di delfini da catturare.

Oggi, sono trascorsi già 8 anni da quando il docu-film The Cove, vincitore di un oscar, ha fatto conoscere al mondo quest’angolo del pacifico fino ad allora sconosciuto. Le immagini del film sono cruente: centinaia e centinaia di delfini trucidati dai pescatori armati di asce e coltelli ed Il mare che si colora rosso sangue.
Il mondo si e’ indignato, lo hanno fatto le associazioni per la difesa dei cetacei e del mare (mi sono indignato anche io…) ma lo hanno fatto anche i cittadini che da ogni parte del mondo. I pescatori non abituati a queste attenzioni internazionali sono rimasti in silenzio. Sino ad oggi.
I 3200 abitanti residenti a Taiji hanno cosi accettato di parlare al Guardian, il celebre quotidiano britannico con sede a Londra. Hanno raccontato della loro vita, del loro lavoro e del loro patrimonio, ma soprattutto della loro intenzione a continuare a cacciare i delfini.
Gli attivisti ci chiedono perche’ uccidiamo i delfini. Per noi e’ solo una fonte di cibo dice il Sindaco della città di Taiji, Kazutaka Sangen. “Quando ero un ragazzo, tutti gli abitanti sarebbero presentati per salutare una balena a terra dai pescatori. Erano disperati ed avevano fame continua poi il sindaco. Siamo grati alle balene: vogliamo che gli occidentali lo capiscano. “
Uccidendo delfini e altre piccole balene, i pescatori stanno continuando una tradizione che ha permesso ai loro antenati di sopravvivere. Qui, non abbiamo mai potuto coltivare riso o verdure per mancanza di acqua. Avevamo bisogno di uccidere le balene per sopravvivere. E’ grazie alle balene se oggi Taiji esiste ancora.

Per Sangen, tutto a Taiji – dai servizi, all’istruzione alle infrastrutture turistiche – dipende dal reddito che ricavato dalla vendita di delfini.
Il vero reddito viene dalla vendita a Zoo e Acquari
La carne di delfino per il consumo umano non genere grandi profitti. Ma, un delfino tenuto in vita e venduto ad uno zoo o ad un acquario puo’ anche portare nelle casse della cooperativa sino a 8000 dollari mentre un delfino adulto già addestrato ne vale 40.000.
“La caccia alle balene è la colla che tiene insieme questa città”
“Se i delfini sono così importanti per la comunità locale, allora perché ucciderli – questo è ciò che molti occidentali non riescono a capire”, dice Sasaki. “Ma pensiamo agli animali come a una risorsa, e non che siano creature speciali È un modo di pensare totalmente diverso. La caccia alle balene è la colla che tiene insieme questa città – è inseparabile dall’identità e dall’orgoglio locale “.
Kai respinge le affermazioni secondo le quali i pescatori di Taiji impieghino un metodo crudele per uccidere i delfini. “Il modo in cui lavoriamo è cambiato con i tempi”, dice. In risposta alle critiche, i pescatori uccidono i delfini nel modo piu’ umano possibile cercando di non farli soffrire ed dando loro una morte immediata.
I pescatori continuano poi a parlare degli attivisti: con loro non c’e’ nessun punto d’incontro. Cercano soltanto di ostacolarci e non sono qui per aiutarci. Poi, guardando due fette di carne di balena congelate il sindaco incalza: quando non c’erano i frigoriferi questa carne veniva conservata sotto sale, era la sola risorsa di proteine che avevamo. Noi uccidiamo circa 2000 delfini all’anno, un decimo rispetto alla quota annuale del Giappone. Non ci vergogniamo di cacciare i delfini e non prenderemo in considerazione di fermarci spiega ancora Kai. È la parte più importante della nostra tradizione locale. Poi, guardando il giornalista: si guardi intorno, se non ci fosse il mare come dovremmo fare a vivere?