9° puntata – IL GRANDAMMIRAGLIO – cadenza settimanale – autore Stefano Duranti
Così il pomeriggio successivo ero nella mia cabina ad attendere il grandammiraglio. Il tempo passava e non arrivava nessuno, ormai si stava facendo tardi. A un certo punto sento bussare alla porta. Apro. Non c’è il grandammiraglio, ma quello stesso ufficiale che mi aveva accolto sulla nave e che mi aveva accompagnato alla festa. A quanto pare doveva essere l’addetto a scortare i passeggeri. Come sempre, non disse niente, invitandomi a seguirlo. Stavolta però fece una cosa strana. Mi porse una benda nera e mi chiese di metterla. All’inizio ero titubante, ma, visto che il suo sguardo si faceva aggressivo, alla fine la misi. Non voleva che vedessi il percorso che avremmo fatto per arrivare lì. Mi prese per mano e cominciò quasi a correre e io costretto a seguirlo sballottato qua e là. In quel momento mi sentivo come un Mazeppa sbattuto violentemente dallo stallone a cui era stato legato. È veramente brutto sentirsi obbligati a camminare velocemente senza poter vedere dove andare. Ogni tanto battevo da qualche parte o contro qualche persona. Nonostante il dolore e le imprecazioni di quelli che colpivo, quello non si fermava e proseguiva imperterrito. Alla fine, dopo un tragitto piuttosto lungo, si fermò. Sentii che quello si dileguava a passo marziale e io rimasi immobile per qualche secondo, prima di togliermi il velo dagli occhi.

Non si vedeva niente, oramai era piena notte. A qualche metro di distanza però potevo notare una grande vetrata fuori della quale erano proiettati i fari della nave, che proseguiva la sua traversata. Improvvisamente qualcuno entrò armato d’una lampada a olio. “Sono il grandammiraglio della Gioconda”, mi disse, ma non potevo vedere il suo volto. La voce era profonda e sembrava provenire dagli abissi. Poi la figura andò in giro per la stanza ad accendere qua e là delle candele. Piano piano l’ambiente diventava riconoscibile. Al centro stava un grande timone abbandonato, nessuno lo guidava. Poi c’era un divanetto davanti a un piccolo tavolo con sopra del whisky. Intravidi anche una mensola con sopra tarocchi, dadi e un pendolo. Infine riuscii a riconoscere il grandammiraglio, che era vestito alla foggia napoleonica, con tanto di spallini e cappello, con una divisa blu intensa rattoppata in qualche zona. Il suo volto rimase sempre in penombra, anche grazie alla grande falda del copricapo, ma mi sembrò riconoscere degli occhi ferventi e spiritati. Quel personaggio emanava una certa aura sciamanica, che incuteva quell’inquietudine che si ha di fronte ai fenomeni soprannaturali.
“Grazie per essere venuto. Prendiamoci qualcosa da bere.” Così ci sedemmo l’uno davanti all’altro. Capelli lunghi e corvini gli scendevano sulle spalle. La corporatura era robusta, incorniciata da grandi spalle. Chiesi perché non si trovasse al timone, credevo infatti che il grandammiraglio dovesse essere lì. Allora quello, dopo un sorso di whisky e avere accettato un sigaro da me offerto, fece un lungo discorso, proferendo che quella nave andava da sola e non aveva bisogno che qualcuno stesse al timone. Proprio come la vita, la Gioconda era spinta dal Destino e sarebbe stato inutile interferire con la volontà naturale. E allora gli chiesi cosa ci faceva lui lì, se non c’era bisogno di un uomo al comando. Disse che c’era bisogno dei suoi influssi energetici, fondamentali perché tutto andasse bene durante la navigazione. Si trattava di saper percepire certe vibrazioni, comprendere le positività e le negatività e essere in grado di conferire spiritualmente il giusto apporto alla traversata. Per me erano concetti molto complessi, che tutt’ora non saprei meglio spiegare, certo è che vedere quel timone sguarnito mi faceva strano e anche paura. Il grandammiraglio disse di non preoccuparsi, perché sapeva che tutto sarebbe andato bene. Aveva consultato i Ching e l’oracolo era stato propiziatorio. Seduto nella sua poltrona aveva un’aria superiore e solitaria. “Preparati però – continuò -, perché, proprio come l’esistenza, niente viene senza difficoltà e sofferenza. Tra poco ci sarà una tempesta, ma, tranquillo, andrà tutto bene e la meta è vicina.” Non compresi quelle arcane parole, finché non sentii sotto di me delle strane oscillazioni. Cominciò a piovere all’impazzata e la nave sembrò quasi capovolgersi. Non riuscivo a stare fermo sul divanetto, cadevo continuamente, mi reggevo in ogni dove, aggrappandomi a quello che potevo. Sembrava un terremoto, ma il grandammiraglio se ne stava immobile e tranquillo a fumare il sigaro.

Dopo un po’ di tempo tutto quello finì e mi fu detto: “Proprio come la vita, per raggiungere il paradiso bisogna superare l’inferno, e a testa alta.” Era rimasto imperturbabile alla bufera e per me questa era stata una grande lezione. D’altra parte è inutile piangersi troppo addosso quando succede qualcosa di male. Bisogna solo avere la pazienza e la forza d’attendere il ritorno della luce, cosa che prima o poi accadrà inevitabilmente. D’altra parte non dovremmo dare troppa importanza neanche alle cose belle, perché poi potremmo essere delusi e non essere pronti alla futura sciagura. Il grandammiraglio era simbolo di armonia ed equilibrio. In lui brillava qualcosa di divino.
Ci spostammo ai posti di comando. Il mare si faceva liscio e il cielo limpido. Le tetre nubi ci lasciavano. Cominciava a farsi sera e si vedeva la falce della luna, accompagnata da qualche stella luccicante. “Vedi, noi non potevamo farci niente. La tempesta sarebbe arrivata comunque. Non potevamo fare altro che accettarla aspettando che passasse. Adesso siamo stati ripagati da questo spettacolo del cielo.” Dicendo queste parole filosofiche e poetiche si mise a contemplare la volta e stette così fermo per qualche minuto. Anche io feci lo stesso, allietato da quella visione, grazie alla quale trovai un raro rilassamento.
Ormai il grandammiraglio dal nome ignoto non aveva ai miei occhi quell’aspetto spettrale con cui l’avevo delineato inizialmente. La debole flebile luce lunare illuminava il suo sguardo, dove intravedevo tutti i segni della vita. Lui era un Maestro, perfettamente allineato al principio naturale.
Venne il tempo dei saluti. L’uomo si dileguò nell’ombra, invitandomi a rimettere la benda. Qualcuno mi prese la mano, presumo lo stesso ufficiale, e mi ricondusse davanti alla cabina. Ormai Shanghai era prossima. Il giorno seguente sarei arrivato.